Neurofeedback nel trattamento dei traumi dello sviluppo

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- ISBN/EAN
- 9788860309167
- Editore
- Raffaello Cortina Editore
- Formato
- Brossura
- Anno
- 2017
- Pagine
- 392
Disponibile
40,99 €
Il neurofeedback è una sorta di “training del cervello” che consente di visualizzare e modificare i pattern del cervello stesso; i clinici sono dunque in grado di guidare i pazienti con l’obiettivo di trasformare i pattern di onde cerebrali all’interno di un nuovo contesto nel quale trattare la malattia mentale. Sebern Fisher, clinica di grande esperienza, mostra in questo libro innovativo la capacità del neurofeedback di incidere su alcuni aspetti della salute mentale considerati tra i meno trattabili: il grave abuso infantile, la trascuratezza, l’abbandono, in altre parole i traumi dello sviluppo.
Quando siamo in presenza di un fallimento dell’attaccamento tra un bambino e il suo caregiver primario, si può instaurare un insieme di sintomi complessi: dissociazione cronica, comportamenti autodistruttivi, isolamento sociale, rabbia e paura. Finora esistevano poche terapie affidabili per contrastarli. Adesso, l’autrice mostra che, focalizzandosi sui pattern delle onde cerebrali del paziente, i ritmi del cervello, del corpo e della mente si normalizzano e, con un training scrupoloso, si instaura la regolazione. Sono anche valutate le abilità cliniche necessarie, compresa la modalità con cui presentare il neurofeedback ai pazienti, combinarlo con la psicoterapia tradizionale e fornire l’assessment.
Autore
Sebern F. Fisher
è una psicoterapeuta specializzata nel trattamento con il neurofeedback dei disturbi dell’attaccamento. Lavora privatamente come professionista ed è impegnata a diffondere, a livello internazionale, l’uso del neurofeedback e la sua integrazione con la psicoterapia.
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PRESENTAZIONE
di Maria Silvana Patti, * Alessandro Vassalli **
Io sento poco [...] e non mi concedo mai emozioni di pancia. È per la faccenda
dei colori. Se non hai i colori, non hai nemmeno la pancia per sentire le emozioni.
È un brutto guaio perdere i colori. Un brutto guaio davvero.
igiaba scego
Leggere il libro di Sebern Fisher equivale a guardare una di quelle figure ambigue che, a seconda dei punti di vista, mostrano due immagini diverse: l’una e l’altra sono visibili solo in alternanza ma, di fatto, esistono entrambe.
In effetti, sono le aspettative o le abitudini con le quali approcciamo il mondo a orientare la nostra percezione per poi magari accorgerci – in modo a volte sorprendente – che ci sono altre versioni degli eventi.
L’addentrarsi tra le pagine di questo lavoro produce proprio un simile effetto sorpresa: si inizia pensando di avere a che fare con un manuale che illustra in maniera rigorosa e precisa, passo dopo passo, l’utilizzo di una tecnica di intervento sul trauma, basata peraltro sull’uso di un macchinario EEG e, man mano che si procede, ci si trova a riflettere su cosa sia veramente il trauma dello sviluppo e su come sia possibile curarlo: più che di un manuale teorico-pratico sul neurofeedback, si tratta di un manuale teorico-pratico su che cos’è la cura.
Procediamo tuttavia con ordine, tenendo conto della presenza delle diverse “immagini”.
Innanzitutto, il neurofeedback non è, nella sostanza, una tecnica terapeutica, ma un vero e proprio allenamento del cervello, volto a modificare la produzione di onde cerebrali, in termini quantitativi e qualitativi: il paziente, collegato a uno strumento non invasivo (un macchinario EEG), impara a modulare e controllare le onde cerebrali, per giungere a creare onde associate a diversi tipi e livelli di coscienza vigile e di esperienze coscienti (calma, attenzione, concentrazione ecc.). Si tratta, quindi, di un trattamento sulla neuroplasticità, non molto conosciuto in ambito clinico perché sviluppato prima che il concetto di neuroplasticità venisse accolto dalla comunità scientifica e, di conseguenza, studiato (Doidge, 2014).
D’altro canto, era possibile misurare le onde cerebrali già a partire dai primi del Novecento ed è stato Barry Sterman a scoprire, in modo più o meno casuale, attraverso esperimenti condotti sui gatti, che questi ultimi riuscivano a controllare le proprie onde cerebrali. Questa scoperta fece sì che l’automodulazione delle onde cerebrali potesse essere insegnata agli astronauti della NASA per prevenire gli attacchi epilettici ai quali erano soggetti a causa dell’esposizione al combustibile utilizzato per i razzi (Doidge, 2014; van der Kolk, 2014).
Il neurofeedback, quindi, si rivolge al cervello e non alla mente, ma solo occupandosi del primo è possibile permettere a persone gravemente traumatizzate di usare la seconda.
E veniamo, quindi, all’altra “immagine” del libro: il paziente che soffre di un disturbo traumatico dello sviluppo.
Sebern Fisher, infatti, si è avvicinata al neurofeedback perché ha dedicato gran parte della sua vita professionale alla ricerca di terapie realmente efficaci per le persone esposte a trascuratezza grave, maltrattamenti e/o abusi in età evolutiva. Si tratta di persone che presentano una disregolazione emotiva cronica, che vivono in un costante assetto di sopravvivenza e con una forte reattività alle sollecitazioni esterne, percepite spesso come minacce mortali, capaci di minare l’incolumità fisica.
Se, come dice Porges, si parla di trauma quando il sistema di coinvolgimento sociale fallisce, è facile dedurre che in questi pazienti tale sistema non si sia mai effettivamente creato: il loro cervello, guidato dalla paura, funziona in un assetto di non integrazione fra le varie strutture e con le aree neocorticali messe in scacco da un sistema di allarme costantemente attivato.
La loro anima, dominata dal terrore e dal dolore, risulta, per citare una canzone, “anestetizzata e mancante di un senso del pericolo ‘reale’”: il mondo appare di un’unica tinta spaventosa, mancante di tutte quelle sfaccettature cromatiche che rendono la vita degna di essere vissuta. Le relazioni, compresa quella terapeutica, rischiano, pertanto, di finire tutte nello stesso calderone del pericolo e della minaccia, innescando continuamente reazioni di difesa primitive.
È quindi chiaro che intraprendere troppo presto un percorso terapeutico per questi pazienti può rivelarsi, oltre che inefficace, anche fortemente nocivo, ritraumatizzante. Ed è in questo scenario che si inserisce il neurofeedback, inteso come un allenamento funzionale a favorire, attraverso la rimodulazione dei vari pattern di onde cerebrali, quella neuroplasticità indispensabile per poter usare la mente, per poter percepire “i colori” del mondo e dare significato agli eventi e agli stati d’animo.
L’intento è di agire sui circuiti cerebrali che sostengono e mantengono gli stati mentali di paura, terrore, rabbia e vergogna. Vale a dire quei circuiti la cui continua attivazione è alla base della formazione dei disturbi post-traumatici cronici. Il neurofeedback può essere, quindi, propedeutico al trattamento o, in certi casi, parallelo a esso e, per arrivare a fare una scelta in questo senso, bisogna essere molto competenti: è necessario conoscere bene la tecnica per “pensare neurofeedback”.
“Pensare neurofeedback” significa cambiare i protocolli di allenamento al momento giusto, capire quali pattern di onde rinforzare e quali no, quali frequenze utilizzare per uno specifico paziente in un determinato momento, e decidere di fermarsi, se necessario; significa, in ultima analisi, acquisire quella flessibilità che solo il “sapere” profondo può conferire.
L’autrice si sofferma a lungo sul concetto di “pensare neurofeedback”, dando quell’illusione ottica di cui abbiamo parlato all’inizio, in seguito alla quale sembra che l’“immagine” del paziente che sperimenta una forte sofferenza non ci sia, sparisca alla vista.
Ma è giusto un’illusione: il paziente è senz’altro il protagonista di questo lavoro e Sebern Fisher si rivela una terapeuta estremamente esperta e sensibile, evidenziando l’importanza della relazione anche all’interno di una seduta di neurofeedback: orientare lo schermo del macchinario in modo da consentire il contatto visivo con la persona o applicare gli elettrodi in modo delicato permette al paziente di cominciare a percepire una relazione accogliente e non invasiva, anche perché mediata da uno strumento e da un compito preciso.
Tutto ciò può far intravedere al paziente la possibilità di una relazione differente, che, unita all’effetto del processo di neurofeedback, pone le basi per un eventuale intervento psicoterapico. In altri termini, proprio come succede con la mindfulness, il neurofeedback (e l’assetto relazionale del training) ha lo scopo di costruire, insieme al paziente, quell’“apparato digerente”, quella “pancia” in cui contenere le emozioni e cominciare a cambiare il modo di sentirsi, di sentire e di fare esperienza.
Lo sfondo, quindi, dell’immagine ambigua di questo lavoro è costituito dalla riflessione implicita su che cosa sia la cura: non l’applicazione acritica di approcci e psicoterapie efficaci in teoria, ma una serie di scelte progressive, rispettose della persona, della sua storia e del suo funzionamento, miranti a fornire al paziente un contesto di guarigione adeguato, centrato sulle sue risorse e sulla sua capacità di accedere al nutrimento terapeutico, che è fatto di
timing,
di varietà di approcci e, come dice Bruce Perry, di giusti ritmi e giuste dosi, niente di più e niente di meno.
Maggiori Informazioni
| Autore | Fisher Sebern F.; Patti M.S. |
|---|---|
| Editore | Raffaello Cortina Editore |
| Anno | 2017 |
| Tipologia | Libro |
| Lingua | Italiano |
| Indice | Prefazione all‘edizione italiana (Maria Silvana Patti, Alessandro Vassalli) VII Ringraziamenti 3 Prefazione (Bessel A. van der Kolk) 5 Introduzione 11 PARTE I Le teorie sottostanti 1. La mente nel trauma dello sviluppo 25 2. Il cervello nel trauma dello sviluppo 57 3. Il neurofeedback. La modificazione dei pattern nel cervello traumatizzato 95 4. Trauma dell’identità. Arousal, stato e tratto 131 PARTE II La pratica del neurofeedback 5. Introdurre i vostri pazienti al neurofeedback 155 6. “Pensare neurofeedback”. L’arte e la scienza dell’assessment clinico 183 7. Protocolli neurofeedback per il trauma dello sviluppo 225 8. Integrazione di neurofeedback e psicoterapia 259 9. Tre donne. Il Sé in sviluppo 287 Postfazione 333 Appendice A Questionario di assessment per il neurofeedback 339 Appendice B Domande frequenti 355 Appendice C Guida al Protocollo FPO2 357 Bibliografia 359 Indice analitico 367 |
Questo libro è anche in:
